Lui & Lei
La nuova inquilina

22.06.2025 |
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"La pelle bruciava, i muscoli tremavano, ma ogni fibra del nostro essere era pervasa da una soddisfazione completa, inebriante..."
Non stavo cercando un'avventura, non in quel pomeriggio grigio e senza stimoli. Il mio unico desiderio, banale e concreto, era trovare qualcuno che subentrasse nel mio appartamento. Nulla di più, nulla di meno.La mia settimana era stata una sequenza monotona di volti anonimi e conversazioni vuote, appuntamenti che lasciavano solo il sapore sgradevole del tempo sprecato. Poi, la porta si aprì di nuovo, e lì, sulla soglia, apparve lei: trentotto anni, sei più di me, ma in quel momento ogni numero era irrilevante di fronte all'impatto visivo che mi colpì. La sua figura era esile, sì, ma costruita con una sinuosità che toglieva il fiato, con curve che non catturavano semplicemente lo sguardo, ma lo imprigionavano, lo incatenavano.
La gonnellina a pieghe, corta e sbarazzina, ondeggiava appena sopra le ginocchia, disegnata quasi apposta per accendere ogni fantasia proibita, per stuzzicare la mente e promettere rivelazioni. Il top, poi, tirato appena sopra il seno generoso, non nascondeva nulla, ma anzi, lasciava intuire, suggeriva, provocava con una grazia maliziosa che mi fece avvampare. E quegli occhi… Dio, quegli occhi. Erano pozze scure e profonde, capaci di trafiggere, di leggere oltre la superficie. Sapevano esattamente cosa stavano facendo, occhi di una predatrice consapevole del suo potere, che si posavano sui miei e li sfidavano, li assaggiavano, promettendo un gioco pericoloso.
Non appena varcò la soglia, l'aria nella stanza cambiò. Fu un mutamento sottile, quasi impercettibile all'inizio, ma poi si fece strada, si fece più denso. Un'energia nuova, palpabile come un fremito elettrico, si stese tra noi, riempiendo ogni angolo dell'appartamento e riscaldando la mia pelle. Cercavo di mantenere un contegno, di concentrarmi sul motivo della sua visita, e le mie parole sull'appartamento – i suoi pregi, i suoi spazi, la luce che entrava dalle finestre – divennero un sottofondo lontano, un mormorio insignificante. La mia mente e i miei sensi erano altrove, completamente catturati dal gioco silenzioso che si stava svolgendo.
I nostri sguardi si cercavano con urgenza, si studiavano con curiosità insaziabile, si sfidavano con una malizia crescente e ogni minimo gesto, ogni impercettibile movimento delle sue labbra, ogni piega del suo vestito, era carico di qualcosa che entrambi riconoscevamo ma nessuno dei due osava ancora nominare ad alta voce, un desiderio primordiale che pulsava tra noi, sempre più forte.
Le mostrai le stanze, ogni passo un lento avvicinamento, una tensione crescente e poi, inevitabile, il contatto. Le nostre mani si sfiorarono, un tocco casuale solo in apparenza, un pretesto per sentire il calore della sua pelle, un brivido gelido, e allo stesso tempo bollente, mi percorse la schiena, irradiandosi fino alle dita. I nostri occhi si incontrarono di nuovo, questa volta per un attimo più lungo, un'eternità sospesa dove il mondo esterno smise di esistere. In quello sguardo, percepii una promessa non detta, un'anticipazione inebriante. Poi, con una forzata normalità, ci salutammo, scambiammo i numeri con la scusa di "tenerci aggiornati", ma entrambi sapevamo, con una certezza quasi beffarda, che quel pretesto era solo l'inizio... era una scusa per prolungare quella scarica, per non spezzare il filo invisibile che già ci legava.
Quella sera stessa, non riuscii a resistere. La sua immagine era fissa nella mia mente, il profumo che aveva lasciato nell'appartamento sembrava ancora aleggiare nell'aria. Le scrissi, senza mezzi termini, spinto da un impulso irrefrenabile: «Un bicchiere di rosso da me? Così ci conosciamo meglio…» Accettò, e il mio cuore fece un balzo. L'eccitazione si impossessò di me ma dopo qualche messaggio scambiato, arrivò il colpo di scena, la doccia fredda: «Mia figlia, appena diciottenne, stasera non mi lascia un attimo…» Il desiderio, che si era gonfiato come una vela al vento, restò sospeso, non si spense e non svanì. Rimase lì, teso, quasi doloroso nella sua insoddisfazione, a tormentarmi per tutta la notte, alimentando fantasie proibite.
Il giorno dopo, nel primo pomeriggio, un bussare leggero alla porta interruppe il mio lavoro. Era lei... I miei sensi si acuirono all'istante. Questa volta, lo sapevamo entrambi, non ci sarebbero state scuse, non ci sarebbero stati impedimenti. I suoi occhi brillavano di un'attesa reciproca, una luce maliziosa che mi lesse l'anima. Il bicchiere di rosso fu solo un rituale, un pretesto per prolungare l'anticipazione, per lasciare che la tensione si accumulasse fino a diventare quasi insopportabile. I nostri sguardi si parlavano già, le nostre menti erano già proiettate in avanti di qualche minuto, "spoilerando" senza pietà l'esplosione di piacere che stava per accadere. Ogni respiro si faceva più corto, ogni battito del cuore più forte.
Fu lei a fare la prima mossa, ad accorciare quella distanza che sembrava immensa. Le sue labbra, morbide e piene, sfiorarono le mie. Fu un tocco lieve, quasi un sospiro, ma che si trasformò subito in un bacio profondo, un bacio affamato, famelico, che succhiava l'anima. Le nostre lingue si intrecciarono in una danza selvaggia, le nostre bocche si divoravano con un'urgenza primordiale. Le mani si cercarono, si trovarono e si strinsero, le sue dita affondavano nella mia nuca, tirando leggermente i miei capelli, in un gesto che mi fece rabbrividire. Le accarezzai la schiena, sentendo i muscoli fremere sotto le mie dita, percependo ogni piccolo sussulto del suo corpo mentre si abbandonava a me.
Con un movimento istintivo, la sollevai senza alcuno sforzo, come se il suo corpo fosse fatto per incastrarsi perfettamente nel mio. Le mie mani affondavano, stringevano con avidità i suoi fianchi, il suo sedere sodo e tondo, pieno e morbido al tocco. Lei si aggrappò a me con una forza sorprendente, le sue gambe si avvolsero strette intorno ai miei fianchi, il respiro un ansimare strozzato contro il mio collo. La portai in camera, la lasciai cadere sul letto con una mossa decisa ma dolce, e mi gettai su di lei, il mio corpo a coprire il suo, sentendo il calore che emanava da ogni sua fibra.
Ci spogliammo in fretta, con una furia quasi incontrollabile, come se i vestiti bruciassero sulla nostra pelle. Ogni lembo di stoffa scivolato via era una liberazione, un invito. I miei occhi bruciavano sul suo corpo finalmente nudo, perfetto nella sua imperfezione, ogni curva una promessa, ogni centimetro della sua pelle era un territorio inesplorato da marcare, da baciare con avidità, da mordere leggermente. Le mie labbra scivolarono sul suo collo, lasciando una scia di fuoco, poi sul seno che si offriva senza più veli, i capezzoli duri e tesi, pronti ad accogliere la mia bocca. Scivolai sulla sua pancia tesa, sentendola contrarsi, mentre le sue mani mi guidavano, mi stringevano, le sue unghie mi graffiavano la schiena, lasciando segni rossi che sapevano di possesso.
Entrai in lei con un solo movimento, deciso, profondo, totale, un'invasione voluta, cercata. Un gemito rauco, quasi un ruggito di piacere, ci unì in una fusione selvaggia di corpi e anime. Il ritmo si trovò da solo, istintivo, primordiale: forte, veloce, senza dolcezza, solo puro desiderio che montava come un'onda impetuosa e inarrestabile, travolgendoci entrambi.
I nostri corpi sudati si scontravano e si cercavano allo stesso tempo, un unico, potente impasto di carne e passione, in un gioco senza regole, senza pietà, senza freni. I suoi gemiti erano la mia unica musica, un coro gutturale di puro piacere che mi spingeva oltre ogni limite. Le sue unghie sulla mia schiena, che affondavano, laceravano la carne, erano il segno tangibile che stavamo spingendo al massimo, verso l'abisso del godimento. Ogni spinta, ogni frizione, era un vortice che ci trascinava sempre più in fondo, sempre più in alto.
Venimmo insieme, con un urlo soffocato, uno spasmo condiviso che scosse entrambi fino al profondo delle ossa. Esausti, svuotati, ci abbandonammo uno sull'altro, ansimanti, i nostri petti che si alzavano e si abbassavano all'unisono. La pelle bruciava, i muscoli tremavano, ma ogni fibra del nostro essere era pervasa da una soddisfazione completa, inebriante.
Si rivestì in fretta, con quel suo sorriso malizioso e una scintilla ancora selvaggia negli occhi. «Ho un impegno, ma torno stasera…» disse, la voce ancora roca, quasi un sussurro carico di promesse.
E tornò. Non una, non due, ma altre tre volte quella stessa sera la feci mia. E ogni volta era più presa, più affamata, come se ogni orgasmo alimentasse un desiderio ancora più grande, spingendoci a cercare oltre, a chiedere di più l'uno all'altra. Ogni volta sempre più nudi, non solo dei vestiti, ma delle barriere, più veri, più stretti, i nostri corpi intrecciati in un'unica, inesauribile danza di carne e piacere. Le parole erano superflue, inutili. I nostri corpi parlavano una lingua universale, la lingua del desiderio primordiale, che sapevano cosa volevano e come prenderselo, senza esitazioni.
La salutai sulla porta, mentre si sistemava alla meglio i capelli scompigliati, il suo sguardo ancora acceso da quella fiamma irrefrenabile del desiderio, una promessa silenziosa e inequivocabile per la prossima volta.
Si prese poi l'appartamento? Non lo so, e francamente, non m'importava minimamente. Quella notte, l'unico spazio che ci interessava davvero, l'unico luogo che contava, era quello magico, ardente, tra le lenzuola. Il resto era solo un rumore di fondo.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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